venerdì, Aprile 19, 2024
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Shopping fasullo e trattamento dati

Una delle pratiche già in essere da tempo, ma oggi piuttosto rivalutata, è quella del cosiddetto Mystery Shopping. Tutte quelle realtà che non hanno un titolare presente in sede, ma devono affidare il loro marchio e la loro immagine a molti responsabili spersi per il mondo, hanno l’interesse a verificare che tutto sia in regola e che la clientela venga trattata secondo gli standard aziendali, che abbia un’esperienza – come si usa dire oggi – all’altezza delle aspettative. Questo vale soprattutto per i marchi di lusso, che puntano ad una clientela disposta a spendere, ma esigente sia sul prodotto che sul servizio. Per verificare che i singoli punti vendita operino secondo gli standard il modo più semplice è mandare falsi clienti i quali, comportandosi normalmente, osservano e mettono alla prova il sistema. Ma questo comportamento è lecito? Comporta un trattamento dati, una violazione della privacy dei lavoratori? Al solito la risposta non è banale ma, in generale, il lavoratore dovrebbe essere consapevole delle verifiche che il datore di lavoro mette in atto. Inoltre una grande differenza è data tanto dall’oggettività della valutazione (un incaricato potrebbe valutare bene o male un commesso a seconda della simpatia istintiva) quanto dal grado di anonimizzazione del rapporto finale: un conto è scrivere Tizio è stato gentile, Caio invece no, altro è dare un giudizio generale sul punto vendita nel suo insieme.

Mystery shopping e privacy

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