Ancora su privacy e guerra
Purtroppo la guerra continua; non vogliamo entrare in altre questioni, ma la tutela della privacy in questi momenti non deve essere messa da parte; neppure può essere affievolita, come in altri tipi di emergenza. Anzi, è proprio questo il momento di tenerla in altissima considerazione, da ambo le parti. Già avevamo parlato del Garante che è dovuto intervenire per richiamare al rispetto della privacy dei minori, anche se foto emotivamente coinvolgenti possono essere d’aiuto; ma anche i belligeranti, i civili di supporto, i volontari hanno diritto alla loro privacy: Non per nulla i corpi speciali già da anni operano con passamontagna e mettono in atto tutti i trucchi per non essere identificati. Il riconoscimento facciale può certo aiutare a trovare un disperso, ma soprattutto può esporre a ritorsioni chi si è schierato da una parte, foss’anche per caso e non per convinzione e già tante volte abbiamo ricordato che il riconoscimento facciale è solo una delle componenti di un più ampio riconoscimento biometrico. Inoltre c’è il problema dei prigionieri di guerra, anch’essi spesso mostrati sui media per ragioni varie. Certo, un soldato fatto prigioniero si trova con i suoi dati – anche biometrici – disponibili da ambo i lati del fronte, quindi non è la preoccupazione più grande non finire sui giornali, potendo entrambe le parti utilizzare i dati e le immagini di base per realizzare filmati, deep fake e quant’altro; tuttavia, se non prioritario, non è neppure un aspetto del tutto trascurabile, anche in ottica futura.