Il rischio viene dalle app
Quante app carine ci sono in giro? Quanti servizi gratuiti ci consentono di fare le cose più disparate: dal trasformare il tablet in uno specchio, allo scrutare la volta celeste, all’inviare mazzi di fiori virtuali alla nonna o alla fidanzata. In alcuni casi l’accesso a specifiche funzioni del telefono è funzionale al compito che la app deve svolgere; se cerco una pizzeria nelle vicinanza l’app deve sapere dove sono, se devo archiviare delle foto dovrà avere accesso all’archivio della fotocamera. In altri, invece, non si capisce (o si capisce troppo bene) la lista delle funzioni per le quali ci viene chiesta l’autorizzazione: perché per darmi uno specchio, ovvero per accedere alla telecamera e mostrare l’immagine sullo schermo, occorre anche accede al numero di telefono ed alla geolocalizzazione? Perché per trasformare il mio volto in un personaggio dei fumetti giapponesi occorre avere accesso sostanzialmente a tutti i dati del telefono? E’ quanto si chiedono coloro che hanno provato ad installare Meitu, una app molto in voga, che appunto trasforma le nostre foto, ma vuole anche sapere dove siamo, che numero di telefono abbiamo…